di Anna Cavaliere e Phoebe Franzan

Nel mondo del lavoro una capacità molto richiesta è il problem solving e a volte uno stesso problema può avere più di una soluzione.
Durante uno dei numerosi incontri del Festival Passo a Due: Dal dialogo all’azione, tenutosi a Thiene presso Villa Fabris venerdì 21 maggio, le relatrici Roberta Bortolucci e Maria Mantini Satta hanno introdotto il concetto di complementarità uomo-donna nell’ambito lavorativo.
Negli ultimi vent’anni il tasso di occupazione femminile è aumentato esponenzialmente e sempre più donne hanno iniziato a ricoprire i ruoli più svariati all’interno delle aziende. Qualunque occupazione al giorno d’oggi richiede una buona capacità di problem solving e l’ingresso di una controparte femminile rispetto alla già esistente parte maschile ha evidenziato come uomini e donne si pongono in maniera completamente diversa rispetto ai problemi di tutti i giorni.
Di fronte a una difficoltà gli uomini tendono a dare una soluzione superficiale ma immediata, capace di toglierli dai problemi nell’immediato ma che non tiene conto dei possibili riscontri futuri.
Le donne invece riflettono per più tempo e più a fondo, prendendo in considerazione ogni variabile possibile. Hanno quindi bisogno di più tempo, ma la soluzione è molto spesso definitiva e ottimale.
Ma perché questa differenza?
L’ha spiegato Roberta Bortolucci, riferendosi ad alcune statistiche. Gli uomini sfruttano un sistema emotivo detto TPJ, che permette loro di analizzare immediatamente il problema e di porsi ad esso in modo impersonale, senza rispecchiarsi nelle emozioni che questo causa.
Al contrario le donne assumono un sistema emotivo empatico, chiamato “neurone a specchio”, che permette loro di mettersi nei panni della persona con cui si stanno relazionando, ponendo la situazione su un piano più umano.
Questi due modi così diversi di approcciarsi a una difficoltà sono una risorsa importante per le aziende.  Sono metodi complementari, non ce n’è uno migliore che possa sostituire appieno l’altro. L’esperta ha sottolineato che il 28% delle aziende che valorizzano le differenze di genere riescono ad avere un incremento di profitto. In conclusione una complementarità sul luogo di lavoro porta beneficio non solo ai lavoratori ma anche all’impresa stessa.