di Laura Dal Bianco e Elisa Giorgia Zaltron

Né rosa, né azzurro. All’inizio dell’Ottocento i bambini venivano vestiti di bianco, senza differenze tra maschio e femmina. La scelta di questo colore era determinata esclusivamente dal fatto che era più semplice da lavare.

Una delle curiosità, legate agli stereotipi di genere, raccontata da Roberta Bortolucci e Maria Mantini Satta, esperte del Centro Studi Progetto Donna e Diversity Mgmt durante l’incontro “Dal dialogo all’azione. Donne e uomini al lavoro: relazioni e comunicazione“ di Passo a Due Festival in villa Fabris a Thiene, ha fatto emergere degli aspetti inediti legati al significato dei colori.

Dal 1918, infatti, i bambini si distinguevano per il colore che indossavano. I maschi indossavano il rosa perché era definito, deciso e forte, mentre il blu associato alle bambine, era delicato e grazioso.

Approfondendo il tema, si scopre addirittura che le bambine giocavano con delle bambole di carta, per le quali si ritagliavano dei vestiti che si trovavano in un foglio, dove i colori dei vestiti erano come quelli scritti in precedenza, ovvero rosa per il maschio e blu per la femmina.

Solamente diversi anni dopo le bambine iniziarono a vestirsi di rosa, a seguito delle indicazioni contenute in un articolo, dove si sosteneva che le madri preferissero vestire di rosa le loro figlie perché donava di più.
E da quel momento iniziò lo stereotipo dei colori: rosa associato alle ragazze, blu ai maschi.